L’imbroglio del filtro


I fabbricanti di sigarette li spacciano come una soluzione efficace per sbarazzarsi delle sostanze nocive contenute nel fumo, ma i filtri sono assolutamente inutili, anzi: è per causa loro che sono persino aumentate alcune forme di tumore.


I primi sistemi di filtri per sigaretta apparvero intorno al 1860, «per evitare che pezzettini di tabacco finissero in bocca», spiega Thomas Novotny dell’Università di San Diego, specialista degli effetti del fumo sulla salute. Il termine «filtro» si impose poi all’inizio del Novecento e l’oggetto, sempre più, a partire dagli anni Quaranta e Cinquanta, «ossia quando si prese coscienza che il fumo aveva effetti nocivi sulla salute e che, in particolare, poteva provocare tumori polmonari», spiega l’epidemiologo.

Accortasi che ciò avrebbe potuto avere un effetto deleterio sulle vendite, l’industria del tabacco si mise a cercare uno strumento che riducesse al minimo l’inalazione di sostanze pericolose. Si rivolse così ad eminenti centri di ricerca quali l’Università di Princeton, oltre che ai giganti statunitensi della chimica e delle fibre sintetiche Dow, DuPont, Eastman Kodak e Celanese.[1] Fu così che tra 1954 e 1965 furono depositate decine di brevetti per sistemi di filtraggio del tabacco. Si tentarono diversi metodi, poi abbandonati.

Filtri di fibre naturali quali il cotone e la lana si rivelarono non sufficientemente uniformi per essere prodotti su larga scala. Non bisogna dimenticare, infatti, che la fabbricazione di sigarette è ampiamente automatizzata, con macchine che producono 250 pezzi al secondo.[2]

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Il gruppo Lorillard puntò su un filtro a base di carta crespa e fibre di amianto, che chiamò «kent micronite». Ma le fumatrici e i fumatori lo trovarono troppo efficace, poiché rendeva le sigarette insipide, e così fu abbandonato.[3] Tra le altre innovazioni troviamo un filtro che poteva essere inumidito così da assorbire più catrame, ma che fu considerato troppo costoso e complesso da produrre, oppure un filtro al carbone attivo per catturare più sostanze gassose, che tuttavia non ottenne i risultati attesi a causa delle temperature troppo elevate che raggiunge una sigaretta accesa.[4]

L’industria del tabacco si accordò infine su un filtro in fibra di acetato di cellulosa, poco costoso e facile da produrre in serie. Si inizia dalla pasta di legno, dalla quale si ottiene cellulosa, che viene poi trattata con anidride acetica per dare acetato di cellulosa in trucioli. Questi sono disciolti in acetone per dare una soluzione di viscosa, dalla quale si estraggono in seguito filamenti solidi. I filamenti, infine, sono intrecciati in un nastro e consegnati in questa forma ai fabbricanti di sigarette, che ne fanno un lungo tubo di schiuma, poi tagliato in segmenti.[5] Tutto questo segmento di mercato fu rapidamente dominato da Celanese e Eastman Kodak.

Sulla scia di questa innovazione, l’industria del tabacco avviò un discorso pubblicitario che presentava le sigarette con il filtro come più sane e dal sapore più delicato. Negli anni Settanta e Ottanta introdusse poi un’altra novità, ossia la ventilazione: minuscoli fori nelle pareti del filtro che ad ogni boccata avrebbero dovuto mescolare aria al fumo inalato, diluendo così le sostanze nocive.[6] Fu il periodo delle sigarette «light», «ultra-light» e «low tar».

L’unico problema è che le quantità di fumo inalata è misurata da una macchina che prende boccate di 35 ml ogni 2 secondi. «In realtà, nessuno fuma così», spiega Thomas Novotny, che aggiunge: «a volte la persona copre i fori del filtro con le dita, consapevolmente o meno. Inoltre, tende a fare più tiri e a inspirare più profondamente per compensare la perdita di nicotina causata dal filtro. Convinta che le sigarette siano meno pericolose, è anche probabile che fumi di più».

L’analisi di alcuni biomarcatori che si trovano nelle urine o nell’aria espirata, che permette di quantificare le tossine effettivamente inalate da chi fuma, conferma questo effetto: i risultati sono più o meno identici, che la sigaretta fumata sia munita di filtro o meno.[7]

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Che i filtri non sono efficaci, non è una scoperta recente. Il chirurgo generale degli Stati Uniti, ossia la massima autorità del paese nelle questioni di salute pubblica, lo affermò già a metà degli anni Sessanta.[8] Più recentemente, nel 2022, un tribunale olandese ha stabilito che gli strumenti per misurare il fumo sottostimano sistematicamente la quantità di sostanze nocive inalate, in particolare nicotina, catrame, monossido di carbonio e aldeidi, uno dei componenti più tossici del fumo.[9] Oggi nell’Unione europea e in Svizzera le denominazioni «light», «mild» e «low tar» sono vietate.[10]

Anche l’industria del tabacco sa benissimo, e almeno dalla fine degli anni Cinquanta, che i filtri non servono a nulla. In una presentazione del 1961 il vicepresidente del comitato di ricerca e sviluppo di Philip Morris, H. Wakeham, affermò che le tecnologie disponibili «non consentono di filtrare in modo selettivo le particelle di fumo».[11] Un fatto che la multinazionale ha cercato attivamente di nascondere, consapevole che un filtro efficace avrebbe ridotto la quantità di nicotina erogata e la sensazione provata al momento di inalare, che è il perno del meccanismo di dipendenza del quale le fumatrici e i fumatori sono prigionieri.

Lungi dall’essere solo un’appendice inefficace, il filtro comporta persino una parte di rischi. «Dall’introduzione dei filtri in poi, gli adenocarcinomi hanno sostituito i carcinomi epidermoidi quale forma più comune di tumore al polmone», sottolinea Thomas Novotny. I primi colpiscono le cellule epiteliali del polmone, quelle che producono il muco, mentre i secondi hanno origine nelle cellule piatte che rivestono le vie respiratorie, ossia nei bronchi. Mentre l’incidenza dell’adenocarcinoma rispetto al carcinoma epidermoide era di 1:18 negli Stati Uniti nel 1950, nel 2010 era di 1:0.64 negli uomini e 1:0.37 nelle donne.[12] Il superamento avvenne attorno al 1990.

In Europa e in Giappone è stata osservata una tendenza simile. In Belgio, nel 2020 il rapporto tra i due tumori era di 1:0.59 per gli uomini e di 1:0.25 per le donne.[13] I tassi più bassi di carcinoma epidermoide nella popolazione femminile possono essere spiegati dal fatto che le donne hanno iniziato a fumare in massa solo negli anni Sessanta, proprio nel periodo in cui sono stati introdotti i filtri, e quindi sono state meno esposte al tipo di sostanze cancerogene liberate in maggiori quantità dalle sigarette senza filtro e legate a questo tipo di tumore.

Lo spettacolare aumento degli adenocarcinomi, che ha coinciso con l’arrivo sul mercato dei filtri, ha invece colpito sia le donne sia gli uomini. I filtri rallentano la combustione, che avviene inoltre a temperature inferiori, visto che nella sigaretta entra meno ossigeno, e questo provoca la formazione di sostanze quali la NNK (nicotine-derived nitrosamine ketone), una nitrosammina nota per favorire l’adenocarcinoma.[14]

A ciò si aggiunge l’intensità dell’inalazione, maggiore poiché la persona cerca di compensare l’effetto del filtro, che fa entrare i gas in profondità nei polmoni, toccando le vie respiratorie distali, dove si trovano cellule particolarmente soggette agli adenocarcinomi.[15] Nel 2014, il chirurgo generale degli Stati Uniti è giunto alla conclusione che l’aumento degli adenocarcinomi registrato a partire dagli anni Sessanta è in gran parte dovuto all’introduzione dei filtri ventilati.

Un altro effetto dannoso per la salute è che, al momento dell’inalazione, i filtri rilasciano minuscole fibre di acetato di cellulosa rivestite di sostanze cancerogene, «che si rinvengono poi nei polmoni di fumatrici e fumatori deceduti», osserva Deborah Sy del Global Center for Good Governance in Tobacco Control, per il quale è responsabile dei dossier strategici. I fabbricanti di sigarette sono da tempo consapevoli di questo difetto, confermato da numerosi studi fin dai primi anni Sessanta. Interessante notare che Philip Morris utilizza il termine «fall-out» (ricaduta, conseguenza negativa) per descrivere questa diffusione involontaria di filamenti. Tuttavia, i risultati di queste ricerche non sono mai stati resi pubblici. A metà degli anni Novanta, Philip Morris avrebbe persino chiesto di distruggere alcuni documenti in merito.[16]

Nonostante i numerosi pericoli che comportano e l’assenza di qualsiasi effetto positivo sulla salute delle fumatrici e dei fumatori, negli ultimi 40 anni i filtri e la loro composizione sono cambiati pochissimo. Tutt’al più ne è sato manipolato il pH, in modo che, una volta usati, prendessero un colore marroncino (i fabbricanti avevano capito che questo rassicurava le fumatrici e i fumatori sulla loro efficacia), oppure per renderli più solidi o per dare loro un sapore mentolato.

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Più recentemente, l’industria del tabacco ha lanciato sul mercato piccole capsule che, inserite nel filtro della sigaretta e premute, sprigionano un determinato aroma, ad esempio mela o fragola (molto apprezzati dagli adolescenti). Queste capsule sono state vietate in numerosi paesi, tra questi l’Unione europea e il Regno Unito. In Svizzera, invece, sono ancora in vendita,[17] e la scorsa primavera il Parlamento ha respinto una mozione che ne chiedeva il divieto.[18]


[1] https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/21504917/

[2] https://tobaccocontrol.bmj.com/content/11/suppl_1/i51?ijkey=82cf083d97340a95111a6c5d8fabce6eb0e547b0&keytype2=tf_ipsecsha

[3] https://aacrjournals.org/cancerres/article/55/11/2232/467374/Crocidolite-Asbestos-Fibers-in-Smoke-from-Original

[4] https://www.industrydocuments.ucsf.edu/tobacco/docs/#id=rthl0118

[5] https://www.industrydocuments.ucsf.edu/tobacco/docs/#id=jthl0038 et Howell CJ Jr., Trott DW, Riley JL, et al. Process for Extruding Plasticized Open Cell Foamed Cellulose Acetate Filters. United States. 4180536 (Patent). 25 December 1979.

[6] https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33903277/

[7] https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/16973339/

[8] https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/21504917/

[9] https://www.frontiersin.org/journals/public-health/articles/10.3389/fpubh.2023.1282655/full#ref32

[10] https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33903277/

[11] https://www.industrydocuments.ucsf.edu/tobacco/docs/#id=xxcf0115

[12] https://www.frontiersin.org/journals/public-health/articles/10.3389/fpubh.2023.1282655/full#ref32

[13] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6059254/

[14] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6059254/

[15] Ibidem

[16] https://www.jstor.org/stable/20208005

[17] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4798911/

[18] https://www.lematin.ch/story/les-senateurs-refusent-d-interdire-les-cigarettes-aromatisees-552834155540